Il metodo Suzuki nasce da una felice sintesi fra la cultura occidentale e la sensibilità orientale. Il segreto del suo successo risiede nella fiducia che ha nell’uomo il Maestro Suzuki. E’ stato l’uomo l’ispirazione del suo metodo, fondato sul meccanismo di apprendimento della madre lingua. Suzuki si trovava in Germania per studiare ed osservò con stupore come tutti i bambini parlassero con tranquillità e dimestichezza il tedesco che era per lui, adulto e studente, tanto difficile da apprendere e da usare.
I “geni” sono persone che hanno percezioni particolari e vedono nelle cose normali aspetti che le persone comuni non vedono. Per la gente comune la caduta di una mela è un fatto normale, per Newton fu la prova di una legge che governa l’universo. Per la gente comune il parlare di un bambino è un fatto ordinario, per Suzuki fu una “cosa meravigliosa”: egli iniziò così a studiare il motivo per cui, pur nello stadio di apprendimento, un bambino riesce a parlare correntemente la lingua madre (tremila vocaboli al secondo anno di vita). L’uomo quando nasce è caratterizzato da una certa carica vitale, da una forza che animerà le sue facoltà; nessuno può dire quanto abile sia l’uomo per natura. Il talento si conosce solo nella misura in cui viene sviluppato o sciupato.
Alla luce di queste osservazioni Suzuki giunse alla conclusione che in ogni individuo vi è del “genio” o che ognuno ha la possibilità di “apprendere al massimo grado” (sempre che non sia impedito da menomazioni fisiche e mentali. Infatti vi sono stati in Giappone casi di allievi mediocri divenuti eccellenti e talvolta addirittura eccezionali.
Ogni pedagogo dovrebbe sempre ricordare questa “facoltà di apprendimento al massimo grado” presente in ogni individuo.
Suzuki indagò quindi i meccanismi di apprendimento della madre lingua; aveva compreso, infatti, che proprio “l’imitazione” è alla base del processo d’apprendimento umano nei primi stadi della vita e, attraverso il metodo che egli chiamò “della lingua madre”, dimostrò che si poteva insegnare ad un bambino così come gli si insegna a parlare: niente di più ovvio, eppure niente di più straordinariamente rivoluzionario per quei tempi in cui il gran maestro giapponese ideava e codificava il metodo. Come, infatti, un bambino impara a parlare ascoltando e ripetendo continuamente le parole dette infinite volte dai genitori, così impara a suonare ascoltando e ripetendo continuamente un frammento musicale, un ritmo, una melodia che gli stessi genitori, “addestrati” dall’insegnante, gli proporranno nel corso della giornata affinché gli risultino familiari.
Poiché la musica sarà a questo punto entrata a far parte in modo del tutto naturale della vita del bambino e della sua famiglia, diventerà per loro “metodo di vita”, attraverso il quale verrà costruito il carattere, si coltiverà il buon gusto, si svilupperanno le buone maniere, si imparerà ad entrare in relazione con gli altri rispettando le regole, ma anche affinando la sensibilità; soprattutto si troverà’ in essa quella compagnia che non verrà mai meno, ancor più se si sarà in grado di suonare uno strumento.
Inoltre, attraverso l’inserimento nei gruppi di ritmica prima e d’orchestra poi, il bambino (con i suoi genitori) si potrà confrontare costantemente con i suoi compagni, imparando a capire in modo concreto il proprio ruolo all’interno di un gruppo, il proprio stile particolarissimo, la propria capacita’ di stare e di fare con gli altri senza rinunciare ad essere, come direbbe Suzuki, “profondamente se stesso”. Elevato obiettivo questo, ma come dicono gli orientali: “Bisogna mirare alla luna per colpire l’aquila”. In queste poche e significative parole ritroviamo tutto lo spirito delle scuole Suzuki: massimo impegno di tutti (allievi, genitori, insegnanti) per perseguire i livelli di studio e preparazione e l’ingresso nell’orchestra, che e’ la grande ambizione di tutti i bambini.
Il pensiero di S. Suzuki è racchiuso nei suoi aforismi: “l’uomo è figlio del suo ambiente” – “si può fare molto se c’è amore” – “se hai un bel suono, hai cuore” – “le corde non hanno anima, esse vivono attraverso quella di chi le fa vibrare” – “non c’è bambino senza talento, tutto dipende dall’educazione” – “l’arte esprime l’uomo”.
Infine la sua speranza espressa quasi come un atto di fede: “che la musica possa rendere migliore l’uomo, gli dia la pace, la gioia di vivere”.
Questi sono i valori che stimolano gli insegnanti Suzuki ma anche tutti quelli che credono nell’educazione attraverso la musica come mezzo di rinascita morale e spirituale.
Shinichi Suzuki è morto nel 1998, all’età di novantanove anni, ma come è per tutti i grandi uomini, egli vive ancora per quello che ha donato ad una moltitudine di persone.
Migliaia di bambini, in tutto il mondo, se ne stimano circa 250.000 oggi, crescono con la musica, ed attraverso essa vivono esperienze uniche ed irripetibili.
Migliaia di famiglie hanno scoperto la gioia di stare insieme, comunicando con un linguaggio universale e personale al tempo stesso.
Migliaia di insegnanti, circa 8200 in tutto il mondo, hanno imparato a donare se stessi attraverso le proprie competenze, a regalare il proprio talento per crescere quello di un bambino.
Nell’ottobre del 1968, al termine di un suo intervento presso le Nazioni Unite, a New York, Shinichi Suzuki si appellò a tutti i presenti affinché prendessero in considerazione la necessità di una politica mondiale rivolta al corretto sviluppo, all’educazione ed alla cura dell’infanzia.
Oggi, più che mai rievochiamo il suo sogno:
“Che la musica renda migliore l’uomo, porti la pace, la gioia di vivere”.